Festival Internazionale del Jazz
Edizione 1999
La storia del Pescara Jazz
Pescara Jazz 1999
Una settimana di musica: concerti per le strade di Pescara, al Teatro D’Annunzio, in Piazza della Rinascita, a Penne, Caramanico, Loreto Aprutino e Montesilvano, jam sessions. E una settimana di Seminari di studio per aspiranti musicisti di jazz, in collaborazione con il prestigioso Columbia College di Chicago, la cui orchestra è peraltro presente nel programma del festival. È questo il profilo di Pescara Jazz 1999 che spazia dalle bande marcianti in stile New Orleans alle big band, dall’easy listening di James Taylor alle acrobazie vocali di Bobby McFerrin, dal latin jazz di Arturo Sandoval alla fusion degli Steps Ahead. Forse mai come quest’anno Pescara Jazz ha offerto una tale varietà di generi, stili, personalità nei luoghi più diversi della città e della provincia. Segno che si è entrati ormai in una nuova fase della storia del festival, caratterizzata da programmi più alti e ambiziosi e da un’offerta più ricca e variegata. L’apertura del festival al Teatro D’Annunzio sarà officiata da James Taylor, figura a cavallo tra jazz e musica di più facile ascolto, che ha trovato nell’equilibrio tra gradevolezza e raffinatezza la formula giusta per arrivare ad un ampio pubblico.
Si torna al D’Annunzio il 22 luglio per il singolare incontro tra Giorgia e il gruppo di Herbie Hancock. Potrà sembrare un’accoppiata alquanto strana, ma si consideri che Giorgia è giustamente considerata la più “nera” delle voci italiane, dotata di quel feeling e di quella carica che possono attrarre l’attenzione di un jazzman curioso ed eclettico come Hancock. Il grande pianista ha caratterizzato gli ultimi anni della sua carriera nel segno di continue e mutevoli collaborazioni, illuminando con il suo magistero strumentale contesti assai diversi tra loro; inoltre nel disco “New Standards” ha anche mostrato interesse per le nuove tendenze della musica “leggera”, sfruttandone la contiguità con certo jazz moderno. L’alchimia tra una intensa cantante italiana e un raffinato pianista jazz può quindi produrre esiti sorprendenti e inaspettati.
La sopresa e la meraviglia sono invece le costanti dell’arte di Bobby McFerrin, senza alcun dubbio il più straordinario talento vocale emerso negli ultimi venti anni: armato di una tecnica stupefacente, McFerrin non conosce limiti per la sua voce che non siano quelli della sua stessa fantasia. Nulla è impossibile per quest’ugola: suoni multipli, scarti improvvisi di registro, imitazioni di strumenti, forti variazioni di timbro ecc. Ma McFerrin ha anche un debordante senso dello swing, una carica gioiosa e una presenza scenica vitale che lo hanno presto spinto fuori dagli spazi angusti del mondo del jazz per proiettarlo nel grande business internazionale: senza però mai perdere l’entusiasmo, la freschezza e la creatività che ne fanno un fenomeno – è la parola giusta – unico nel panorama vocale contemporaneo. Capace di esibirsi in assoluta solitudine a lungo e senza cedimenti, McFerrin sarà a Pescara con un trio di impianto jazzistico che lascia prevedere uno spettacolo ancor più brillante e coinvolgente.
Figura ormai storica è Elvin Jones che è passato alla storia come il geniale e rivoluzionario batterista del quartetto classico di John Coltrane. In pochi anni Jones introdusse un modo nuovo di suonare la batteria che poi avrà un’influenza praticamente universale: si concentrò su suddivisioni ternarie del tempo, che sono molto più africane, rese l’intreccio tra le figure ritmiche ancora più complesso, lasciando anche una ampia autonomia ad ogni parte ritmica così che sembrava che ci fosse più di un batterista a suonare; introdusse un suono dei piatti meno tagliente e più circonfuso da un alone sonoro, dal quale emergono accenti improvvisi e figure eseguite con mille sottigliezze dinamiche. Tutto questo veniva tenuto insieme da un enorme impatto energetico, da una carica trascinatoria che ha avuto pochi eguali. Da molti anni Elvin Jones dirige suoi gruppi di impianto hard bop o modale, sulla scia della lezione coltraniana, e il suo stile vigoroso, complesso e trascinante non ha minimamente risentito del passare degli anni. Compositore di un certo rilievo, Jones è anche un magnifico talent scout: ama circondarsi di giovani talenti, e in ogni suo nuovo gruppo è possibile scoprire i migliori solisti di domani.
Non è certo necessario presentare Pat Metheny, uno dei musicisti più popolari della scena contemporanea. Metheny è forse un caso unico di giovane talento che sia riuscito a proporre musica innovativa e a raggiungere un grande successo popolare. Come chitarrista ha imposto un suono nuovo, pieno, dolce e cantabile, che è diventato un modello imitatissimo; il suo fraseggio può indulgere in frasi assai melodiche come avventurarsi in sequenze intricate e dissonanti, ispirate a Ornette Coleman (con cui ha inciso un memorabile disco); le sue composizioni vanno dalla canzone orecchiabile allo spunto conciso e dinamico per una libera improvvisazione; il suo senso ritmico è ora morbido e rilassato, ora concitato e trascinante. Presentandosi in trio, come qui a Pescara, Metheny mette in mostra soprattutto il lato più jazzistico della sua ricca e multiforme personalità.
Ben diverso il caso del trombettista Arturo Sandoval, anch’egli un virtuoso, ma che propone un jazz basato sui ritmi latini, cubani in particolare. Il jazz affonda le sue radici anche nella musica cubana, ed è naturale che i ritmi dei Caraibi abbiano permeato molti dei capolavori del jazz: addirittura Jelly Roll Morton sosteneva che senza colore ispanico non vi fosse vero jazz. Oggi questo dato non solo è acquisito, ma è emersa una scuola cubana che al contrario tinge la musica caraibica con i colori del jazz. Sandoval è un maestro del genere, e sa perfettamente come fondere lo swing jazzistico con i complessi poliritmi afrocubani, il suono del gruppo jazz con i ruoli del cojunto caraibico, in una miscela fresca e elettrizzante, che è insieme antica e moderna. È curioso e significativo che il suo gruppo prenda il nome – Hot House – da una famosa composizione jazz di Tadd Dameron degli anni Quaranta.
La chiusura del festival è dedicata a due gruppi guida del jazz moderno. Il quartetto diretto da John Scofield e Joe Lovano esiste da diverso tempo, ma è la prima volta che si presenta come supergruppo insieme a due maestri quali Dave Holland e Al Foster. Il tenore appassionato ma dal suono distaccato di Lovano ha trovato nella chitarra ricca di colore e dal fraseggio obliquo di Scofield un partner ideale, con cui suonare all’unisono i temi, dialogare in duetti, scambiarsi idee spezzando gli assoli: ma ora che i grandi solisti sono quattro è chiaro che questa dimensione dialogica e parte del gruppo ne verrà esaltata.
A chiudere il festival ci sarà un gruppo che ebbe una grande fortuna a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, gli Steps Ahead. Costituito da cinque solisti di alta classe, esso si costituì con l’intento di promuovere una fusion di qualità: unendo cioè la complessità ritmica e armonica del jazz contemporaneo con il vigore e la varietà timbrica della strumentazione elettrica. Il successo ha dato loro ragione: a differenza di molta altra fusion, quella degli Steps Ahead solletica l’intelligenza dell’ascoltore, lo invita a seguire storie e strutture complesse e affascinanti, senza mai abbandonare la pulsazione tipica di questa musica, ma aggiungendoci una raffinatezza strutturale e una abilità esecutiva assolutamente rare. Pescara Jazz non si esaurisce al Teatro D’Annunzio: come detto il festival vive nelle piazze e nelle strade della città, nelle jam sessions dopo i concerti, negli incontri in provincia, nei seminari didattici. Una lunga festa estiva che promette cultura, divertimento e tanta buona musica.
Stefano Zenni
Pescara Jazz 99
Gershwin World
featuring GEORGIA
ELVIN JONES JAZZ MACHINE
with Larry Grenadier & Bill Stewart
ARTURO SANDOVAL HOT HOUSE
JOHN SCOFIELD – JOE LOVANO – DAVE HOLLAND – AL FOSTER