Festival Internazionale del Jazz
Edizione 2007
La storia del Pescara Jazz
Pescara Jazz 2007
Pescara Jazz torna alle buone, vecchie abitudini. Oltre al consueto festival, il pubblico potrà godere del jazz in città dai migliori gruppi dell’area metropolitana di Pescara. E dopo i concerti le jam session con il trio di Tony Pancella prolungheranno i piaceri musicali con gli ospiti a sorpresa.
Il festival si apre con un “aperitivo” di classe, la voce di Natalie Cole che, ormai sganciata dal nome e dall’ombra ingombrante del padre, si è imposta con una propria, autonoma identità stilistica. Certo, la Cole non dimentica la classe, l’eleganza di fraseggio, la sapienza espressiva di Nat, ma quelle sono qualità che il grande cantante ha saputo imporre a tutto il mondo della musica leggera americana, a cui le venature di jazz conferiscono un tocco di vitalità che rende questa musica sempre verde. Nelle tre serate squisitamente jazzistiche sfilano cinque formidabili gruppi in altrettante, diverse proposte musicali.
Il SFJazz Collective è quasi una all stars che dedica un progetto semiorchestrale a Thelonious Monk, un’operazione di grande fascino che fu tentata poche volte quando Monk era in vita. L’asciuttezza delle melodie monkiane, il loro essere in bilico sul silenzio, i ritmi obliqui e sbilenchi, le dissonanze enigmatiche, lo humor sotterraneo e pungente sembrano essere aspetti estranei al linguaggio orchestrale. Ma se gli arrangiamenti rispettano le sghembe architetture monkiane il risultato può essere esaltante, come garantiscono solisti del calibro di Joe Lovano, Dave Douglas, Stefon Harris, Eric Harland.
In un’epoca in cui ci si lamenta dell’assenza di figure carismatiche, sapere che Ornette Coleman a settantasette anni giganteggia sulla scena mondiale nel pieno della sua forma è una fatto che ci entusiasma. Coleman è uno dei musicisti più geniali, innovatori ed emozionanti del secondo Novecento. Ha indicato alla musica la strada di una nuova libertà melodica, una fusione di virtuosismo bebop, visceralità blues e cantabilità infantile, dissolvendo le cesure fraseologiche e armoniche tradizionali, inventandosi uno spazio nuovo, senza centri e gerarchie, ma pervaso da una libertà melodica e un’intensità emotiva soverchianti. In piena esplosione creativa, Coleman ha appena ricevuto il Premio Pulitzer, un riconoscimento tardivo a un artista che, superando la pluridecennale ostilità della cultura ufficiale, oggi celebra con la sua consueta modestia il trionfo di vedere la musica cambiata dalla sua visione pura e intatta di arte.
Tra i musicisti direttamente toccati da Coleman c’è in tutta evidenza Pat Metheny, che vent’anni fa portò sulla chitarra la lezione del sassofonista. A cui Metheny deve la capacità di fondere melodismo folk e modernità urbana, nonché l’ispirazione a perseguire un suono originale, che è forse il contributo più durevole dato dal talentuoso chitarrista al suo strumento. Ora Metheny si affianca al trio di Brad Mehldau trovando con il pianista una comune sensibilità lirica, il gusto per il chiaroscuro e una nota diffusa vena nostalgica.
L’ultima serata del festival è dedicata a due grandi outsider del jazz. Il primo è il sassofonista e compositore svedese Lars Gullin (1928-1976), uno dei grandi e misconosciuti genî del jazz europeo. Sassofonista baritono di scuola cool emerso nel dopoguerra, Gullin si è rapidamente imposto come una voce di straordinario impatto emotivo, un maestro del suo strumento e un improvvisatore dalla fresca vena melodica. Con gli anni Gullin ha raffinato la sua arte compositiva scrivendo pagine di notevole originalità e complessità per vari organici. L’ottetto del pianista Lars Sjosten – un musicista attento alla storia del jazz – rende omaggio all’arte di Gullin proponendo alcune delle sue pagine più ricche di contrappunti, idee melodiche, fresche combinazioni di colori. Ospite sarà Gianni Basso, uno dei padri del jazz italiano, che con Gullin suonò negli anni Cinquanta incidendo pagine memorabili che ora vengono restituite al piacere degli ascoltatori.
Non meno elusiva è la figura di Charles Tolliver. Affermatosi alla fine degli anni Sessanta, Tolliver è stato subito salutato come una voce nuova dell’hard bop. Le sue composizioni sono fortemente caratterizzate ma al tempo stesso lasciano vasti spazi agli improvvisatori, e hanno un respiro evocativo e trascinante a cui contribuisce la sua tromba, infuocata, melodica, irruenta e malinconica al tempo stesso. Negli anni Settanta e parte degli anni Ottanta Tolliver ha scritto pagine importanti del jazz con album in quartetto e per big band. Ma poi ci sono stati lunghi momenti di oblio alternati a brevi, improvvise riapparizioni. Ora però Tolliver è tornato in grande stile con un cd orchestrale acclamato dalla critica che lo ha catapultato di nuovo al centro dell’attenzione. Ed è un bene, perché attorniato dai grandi musicisti della big band (praticamente una formidabile all stars), Tolliver può tornare a far risuonare la sua visione musicale travolgente e originale. Una buona notizia per il mondo del jazz.
Stefano Zenni
Pescara Jazz 2007
ORNETTE COLEMAN QUARTET
with LARRY GRENADIER & JEFF BALLARD
CHARLES TOLLIVER BIG BAND